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Ferrara – L’iniziativa di Meis e Kkl L’ebraismo a difesa dell’ambiente


 
È ancora più verde, il Giardino delle Domande del Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah.
Alle piante già presenti – alloro, mirto, timo, lavanda e maggiorana, gli aromi utilizzati per l’Havdalah –, ieri si è infatti aggiunto l’emblema per eccellenza della pace, ma anche della speranza e della prosperità: un ulivo che il KKL (Keren Kayemeth LeIsrael), la più antica organizzazione ecologica del mondo, ha donato al MEIS.
Un albero simbolicamente denso di significati nell’ebraismo e per il Museo di Ferrara, come ha puntualizzato la direttrice, Simonetta Della Seta: “Già dal Salmo Aleph – Beato l’uomo che non entra nel consiglio dei malvagi, non resta nella via dei peccatori e non siede in compagnia degli arroganti, ma nella legge del Signore trova la sua gioia, la sua legge medita giorno e notte. É come albero piantato lungo corsi d’acqua, che dà frutto a suo tempo: le sue foglie non appassiscono e tutto quello che fa, riesce bene – emerge quanto solido, ancestrale e fondante sia il legame dell’ebraismo con la natura, specie con gli alberi. E in quel solco, il MEIS cerca di far fiorire il proprio Giardino e, con esso, l’ebraismo, raccogliendone i valori per trasmetterli”.

 

 

Ad approfondire le molteplici accezioni nelle quali il testo biblico racconta quel legame è stato il rabbino capo della Comunità ebraica di Ferrara, rav Luciano Caro: “La Torah tocca il tema della protezione della natura già quando parla della creazione. Marito e moglie, ad esempio, sono collocati nel giardino incantato, che viene loro affidato con l’incarico di lavorarlo e custodirlo. È un compito gravoso e non possono distruggere nessuna parte della natura, a meno che non sia necessario per la sopravvivenza. Senza contare la norma del settimo anno, a partire dal quale cessano, su un terreno, i diritti di proprietà”. Decine di regole, insomma, con uno speciale capitolo relativo alla guerra: “Anche la terra del nemico – spiega il Rabbino – va rispettata. E per la Torah, chi combatte deve avere le armi e – oggi suona un po’ bizzarro – una sorta di paletta per coprire i propri bisogni fatti in terra, dunque in un luogo consacrato”.
 

 

Non meno normato è il mondo animale: se non è strettamente indispensabile, causare una sofferenza a un essere vivente è un’offesa al concetto stesso di vita. Inoltre, come indica la Genesi, ogni cosa è stata creata in base alla propria specie, cui corrispondono connotazioni e attitudini distintive. Per questo è vietato far tirare un aratro ad animali di specie differenti, costringerli a vivere insieme e ad accoppiarsi. “Come dire – traduce Rav Caro – che la natura va protetta, non modificata a proprio vantaggio. E questo vale pure per i vegetali – non si possono seminare prodotti diversi nello stesso campo – e per gli indumenti – un abito intessuto di lana (di origine animale) e di lino (mondo vegetale) non può essere indossato. Sempre che non si sposi un’altra interpretazione, che riconduce tutto al primo fratricidio sulla terra: Caino, esponente dei pastori, uccise Abele, rappresentante degli agricoltori, perciò un abito misto ricorderebbe l’omicidio da cui è disceso l’odio tra gli essere umani”. E ancora, prescrizioni che disciplinano la suddivisione delle risorse idriche o la “legge dell’aria pulita”, che imponeva agli Israeliti di riservare ai Leviti 48 città e di non costruire né seminare intorno ad esse entro un raggio di 500 metri. Sotto forma di vincoli religiosi, dunque, tante ricette per condurre una vita adeguata, ma non a scapito della natura.
La stessa filosofia che, da 116 anni, guida l’azione di KKL, come ha illustrato Marisa Hazan: “L’associazione è nata come Fondo Nazionale Ebraico nel 1901, in occasione del quinto Congresso Mondiale Sionista, a Basilea. L’obiettivo era quello di raccogliere denaro per comprare terreni nella Terra d’Israele, farvi ritornare il popolo ebraico e coltivarla, renderla fertile. Inizialmente furono emessi dei francobolli, poi venne istituito il bossolo, che ancora oggi si trova nelle case e nelle scuole ebraiche”.

E il bilancio di questa epopea? “250 milioni di alberi piantumati in un Paese prima completamente arido – snocciola la Hazan –, 230 bacini di acqua realizzati, l’arretramento del deserto, programmi di ricerca e sviluppo in campo agricolo, dell’irrigazione, della raccolta e depurazione delle acque reflue, l’esportazione di nuove tecnologie in molte aree del terzo mondo, la creazione di siti turistici e parchi naturali”.
E di nuovo, come Torah comanda, senza forzare le leggi della natura: “Basti pensare – è intervenuta Della Seta – alla valle di Hula, dietro il monte Carmelo, con bufali e altri animali allo stato brado. Negli anni ’30, il KKL cominciò le attività di bonifica, salvo poi accorgersi che quella zona paludosa non voleva saperne di diventare agricola. E così la ricondusse al suo stato originario, dove ora sorge un bellissimo parco nazionale”.
 

 
Di tutela dell’ambiente ha parlato, per immagini, Claudio Maruzzi, che si è recentemente addentrato nel deserto del Negev. Di quell’esperienza, il delegato ferrarese di KKL ha mostrato alcune pagine di diario, passando dal Mar Morto a Masada, toccando il kibbutz di Makhtesh Ramon, nel più grande cratere di erosione al mondo, fino ai centri studi sulla biodiversità e le rinnovabili, al sito dove il seme Methuselah, risalente all’epoca della distruzione del secondo Tempio, dà ancora frutti e all’abitazione di Ben Gurion.
Compagno di viaggio di Maruzzi è stato Gennaro Di Bisceglie, che ha confidato di essere partito per un motivo ben preciso: “Durante la Seconda guerra mondiale, mio padre, un sergente maggiore appena ventunenne, insignito della croce di guerra al valor militare, pur essendo mutilato, decise di andare in Africa, perché si sentiva un combattente. Un giorno fu avvicinato da alcuni giovani ebrei, che volevano comprare la sua pistola e le munizioni, perché sapevano che avrebbero dovuto presto usarle contro gli arabi. Non accettò, ma li ascoltò e fu folgorato dalla loro passione, dalla volontà di quei ragazzi di fare della loro patria un giardino. Così scoppiò il suo amore per quel Paese e io, pur non essendo ebreo, l’ho ereditato. Questo ‘germe’ è cresciuto in me per 65 anni e sono andato in Israele per vedere se il giardino prospettato da quei ragazzi esisteva davvero. Esiste là – ha concluso Di Bisceglie –, lo ritrovo oggi qui al MEIS e, con esso, trovo anche un senso a molte cose: innanzitutto, l’importanza di ascoltare gli altri e di salvaguardare la natura, per noi e per chi verrà dopo di noi”.

Daniela Modonesi
(16 giugno 2017)

Fonte: moked.it

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